Per stare in equilibrio P. muove le cosce sulla canna della mia bici: ed io sono costretto a cercare nell’archivio delle ennesime combinazioni posturali i frequenti aggiustamenti della la mia personale omeostasi.
Dicono che il senso non può dissociarsi dal moto: l’ambiente va ininterrottamente sentito e valutato, per cui la forza di gravità, la sinestesia, la propriocezione…le tempie pulsano e l’euforia della vista delle gambe ora chiuse, poi aperte, poi aperte e di nuovo chiuse, ad ogni pedalata rende tutti i miei sensi più acuti.
Anche se avessi dovuto percorrere il pavé della Parigi-Rubaix, l’avrei affrontato come la più elastica pista indoor: bum bum nei timpani, profumo di scopata nelle narici, la bellunese non aveva voglia di correggere le note bibliografiche ciceroniane quel pomeriggio, voleva me!
Dicono che il senso non può dissociarsi dal moto: l’ambiente va ininterrottamente sentito e valutato, per cui la forza di gravità, la sinestesia, la propriocezione…le tempie pulsano e l’euforia della vista delle gambe ora chiuse, poi aperte, poi aperte e di nuovo chiuse, ad ogni pedalata rende tutti i miei sensi più acuti.
Anche se avessi dovuto percorrere il pavé della Parigi-Rubaix, l’avrei affrontato come la più elastica pista indoor: bum bum nei timpani, profumo di scopata nelle narici, la bellunese non aveva voglia di correggere le note bibliografiche ciceroniane quel pomeriggio, voleva me!
Qualche mese prima, storditi da dosi industriali di armonie… punk, dark e noise, sul divano con lei erano stati torridi scambi di saliva, dolciastra, scomode ricerche della sua morbida apertura…ma quante mani ho? Poi nulla, altri incontri, i caffè insieme..agli altri, l’idea di prenderla…La piazza, gli slogan e le sue cosce agili, di nuovo ma da lontano.
Sono le due e mezza, pomeriggio caldo e afoso, oggi no le pagine aspettino pure…corro via, uno sguardo e siamo fuori – nella pancia sento che arriva la mia vertigine – su per le scale, di solito affaticate, ma è un lampo!
Beve, in cucina. Io scalpito, dentro. Fuori non so, se si vede. Ma lei lo capisce. È un attimo, di nuovo la lingua e la sua saliva, fresca; lei mi sente gonfio, sotto.
Le gambe, bianche e accaldate sono ormai strette intorno ai miei fianchi: anche se volessi nascondere la mia voglia, lei la sente già premere, pulsante sulle mutandine.
Le gambe, bianche e accaldate sono ormai strette intorno ai miei fianchi: anche se volessi nascondere la mia voglia, lei la sente già premere, pulsante sulle mutandine.
No, qui no….che fai? La sento, magra e morbida allo stesso tempo, si allontana cerca il letto…è un lampo e mi spoglia.
Desiderio matto e la curiosità delle nostre forme, solo sentite allora, oggi soddisfatta, alla fine.
Mi ha succhiato, lei per prima, “cosa fai?” – ma dove lecca? – nessuna ci aveva provato prima: non le palle, più giù…si vicino al buco… e il cazzo diventa sempre più suo.
È brava e poi continua a parlarmi con quell’accento lontano…ma come fa?
E mi racconta del tempo che ha perso e delle fisime di quell’altro, che la fotte solo se si toglie dalla testa il senso di colpa del tempo che passa, senza dare gli esami…ad ingegneria.
E vuole parlare, ed allora io le succhio i capezzoli, duri, scuri, mai avrei pensato fossero così piacevoli le tette, quelle piccole.
E si gira. La vedo e la sento… quasi dirmi, “aprimi”, lei vuole.
La mangerei subito, ma piano la tocco scostando i lembi e i peli, biondi e l’allargo: gusto il suo sapore. Mi piace.
È il contrasto che mi colpisce. Ricordo la sua lingua, è dolce ed ora finalmente è sul glande che è lucido, rosso nella sua bocca: nel mio palato, invece, la fica è salata e non smette di muoversi.
Desiderio matto e la curiosità delle nostre forme, solo sentite allora, oggi soddisfatta, alla fine.
Mi ha succhiato, lei per prima, “cosa fai?” – ma dove lecca? – nessuna ci aveva provato prima: non le palle, più giù…si vicino al buco… e il cazzo diventa sempre più suo.
È brava e poi continua a parlarmi con quell’accento lontano…ma come fa?
E mi racconta del tempo che ha perso e delle fisime di quell’altro, che la fotte solo se si toglie dalla testa il senso di colpa del tempo che passa, senza dare gli esami…ad ingegneria.
E vuole parlare, ed allora io le succhio i capezzoli, duri, scuri, mai avrei pensato fossero così piacevoli le tette, quelle piccole.
E si gira. La vedo e la sento… quasi dirmi, “aprimi”, lei vuole.
La mangerei subito, ma piano la tocco scostando i lembi e i peli, biondi e l’allargo: gusto il suo sapore. Mi piace.
È il contrasto che mi colpisce. Ricordo la sua lingua, è dolce ed ora finalmente è sul glande che è lucido, rosso nella sua bocca: nel mio palato, invece, la fica è salata e non smette di muoversi.
È piccola, la posso muovere tutta, e girarla e mettermela sopra. Lo faccio e la manovro, o e lei che gioca sudata sull’asta, dura, dritta…instancabile? Quante volte, dentro e fuori e lei viene, mamma mia, non pensavo fosse così disposta a ricominciare.
Ma io? Quasi canta lei dalla voglia. Io mi scopro indefesso. Ma voglio, voglio venire!!!!!
Sudo, è bello. Lei è molle ormai, scivola dentro, pareti bagnate, un unguento.
La giro di nuovo: la tengo dai fianchi e spingo, un sussulto suo, si piega di più è dentro ed è più stretto. Protesta.
“Ti giuro, scusa non me ne sono accorto”. Ma è dentro e lei mugola, non fa male ed io perdo la testa; più forte ancora si apre e tutta mi avvolge il cazzo, col corpo.
Sbatto e le palle ritmicamente sentono l’umido delle sue labbra di sotto. Solo ora sto per venire.
Lo sa ed ha uno scatto. L’alternativa è perdere il fiotto caldo. Lo ha in mano, sùbito lo accosta alle labbra di sotto che prima ho succhiato. Non aspetta altro.
“Vieni che ti voglio sentire”…tutto sembra cadere. E fluire via, dentro di lei: uno, due, tre spasmi la sbattono e grido di gioia, come una bestia appagata e potente.
Fa male subito dopo, ma è dolce, fuori ormai è buio.
Ma io? Quasi canta lei dalla voglia. Io mi scopro indefesso. Ma voglio, voglio venire!!!!!
Sudo, è bello. Lei è molle ormai, scivola dentro, pareti bagnate, un unguento.
La giro di nuovo: la tengo dai fianchi e spingo, un sussulto suo, si piega di più è dentro ed è più stretto. Protesta.
“Ti giuro, scusa non me ne sono accorto”. Ma è dentro e lei mugola, non fa male ed io perdo la testa; più forte ancora si apre e tutta mi avvolge il cazzo, col corpo.
Sbatto e le palle ritmicamente sentono l’umido delle sue labbra di sotto. Solo ora sto per venire.
Lo sa ed ha uno scatto. L’alternativa è perdere il fiotto caldo. Lo ha in mano, sùbito lo accosta alle labbra di sotto che prima ho succhiato. Non aspetta altro.
“Vieni che ti voglio sentire”…tutto sembra cadere. E fluire via, dentro di lei: uno, due, tre spasmi la sbattono e grido di gioia, come una bestia appagata e potente.
Fa male subito dopo, ma è dolce, fuori ormai è buio.
Ma quanto ci ho messo??
Davide
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